Qualche anno fa avevo chiesto a un amico regista televisivo chi fosse il suo regista preferito e lui mi aveva risposto: - Fassbinder, - aggiungendo ammirato: - riusciva a girare anche 4 film all'anno.
Ovviamente il numero di film era collegato alla loro altissima qualità: era la combinazione di questi due fattori a fare di Fassbinder un gigante e a scatenare l'invidia/ammirazione del mio amico regista.
In questi giorni mi è capitato di vedere due degli ultimi film di Takashi Miike - un regista che amo molto - I 13 assassini e Sukiyaki Western Django: cappa e spada il primo, omaggio agli spaghetti western, interpretato anche da Quentin Tarantino, il secondo. Li ho trovati splendidi, anche nei loro difetti che pure ci sono. Sì, perché i film di Miike - circa un'ottantina in vent'anni, in perfetta media Fassbinder - non sono quasi mai perfetti, ma sono vivi, viscerali con momenti decisamente geniali.
Nella sua carriera, Miike ha realizzato un capolavoro assoluto e non negoziabile - Audition - un film disgustoso e demente che arriva a tanto così dall'esserlo - Ichi, the killer - più un'altra serie di film memorabili - Gozu, Full metal Yakuza, The city of lost souls - e la serie televisiva MPD Psycho, solo per citare i primi che mi vengono in mente.
I film di Miike sono violentissimi, pieni di effettacci splatter e pervasi di una sessualità malata, deviata e disturbante: non è un caso che l'unico episodio della serie americana Masters of horror a non essere andato in onda sulle tv statunitensi sia stato proprio il suo: Imprint. Recuperatelo e vedetevelo, ne vale la pena.
Nell'anno di grazia 2003, Miike ha diretto, insieme ad altri 4 film, anche The call-Non rispondere. Presentato dalla critica dell'epoca come uno dei tanti cloni di Ringu, avevo preferito non vederlo per evitare delusioni. Poi, per uno di quei motivi incomprensibili a noi umani, un paio di giorni fa mi è venuta un'impellente necessità di comprare il DVD e di vedermelo. E, beh... clone un par di balle!
All'apparenza mainstream, ma nella sostanza personalissimo - soprattutto nella seconda parte - il film è bello ed è quasi commovente il modo in cui Miike rinuncia ad alcuni dei suoi eccessi, pur di poter continuare a manipolare il Genere, innestando su una storia horror banale, già vista, tutta una serie di elementi propri del suo cinema e una spruzzata di romanticismo proprio là, dove non te lo aspetti.
E a voi scettici, che dubitate della grandissima arte del nostro, dico: guardate e studiatevi le sequenze dentro il vecchio ospedale abbandonato che si trovano in questo film e poi ne riparliamo.
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