giovedì 24 giugno 2010

Chiuso per ferie














Sono un po' di giorni che non aggiorno il blog.
Il motivo è che da sabato scorso mi trovo a Cattolica, a casa dei miei genitori, per passare una decina di giorni di ferie.
In ferie io faccio una cosa sola: leggo. Dalla mattina alla sera. Ininterrottamente.
Quali romanzi io abbia letto fino ad ora (ne ho finiti 5 e ne ho lasciati lì 3 dopo le prime pagine) e se mi siano piaciuti, saranno alcuni degli argomenti di cui parleremo a partire da martedì prossimo, 28 giugno, quando avrò concluso queste prime vacanze.

giovedì 17 giugno 2010

Incubi maltesi



















Il numero di Nocturno, di cui vi avevo annunciato l'uscita alcune settimane fa, è in edicola.
Contiene un servizio sui due tv-movie (sceneggiati da me insieme ad Alberto Ostini e Fabrizio Lucherini) che Lamberto Bava ha appena girato a Malta.
L'articolo, a firma Manlio Gomarasca, è bello ed è corredato da alcune foto di scena decisamente impressionanti ;-)
Buona lettura.

martedì 15 giugno 2010

Isole














Oltre scrivere sceneggiature mi capita sempre più spesso di fare anche l'editor, cioè di sistemare e riscrivere sceneggiature altrui. L'ho fatto per le prime tre stagioni di "Rex" e lo sto facendo anche per altri progetti attualmente in corso.
Quando faccio questo tipo di interventi cerco sempre di tenere presenti due regole empiriche: che non sono io l'autore di quello che sto correggendo e che, in una sceneggiatura, ogni scena deve portare avanti la storia.
La prima regola mi porta a rispettare quello che già c'è e, quando possibile, a migliorarlo, tenendomi il più possibile in disparte.
Ma è della seconda regola che vorrei parlarvi.
Mi è capitato alcune volte di vedere inserite in una mia sceneggiatura, scene nuove che piacevano al mio editor, ma che poi non avevano ricadute sul resto della storia. Di recente, un editor ha messo a metà di una mia sceneggiatura un omicidio. La scena in sè era molto bella e ben fatta. Il problema era che la morte questo personaggio x non aveva nessuno sviluppo nel prosieguo della storia. Inserita lì la scena, il mio editor si era disinteressato delle conseguenze della sua scelta e la sceneggiatura, che prima funzionava, procedeva ora in maniera un po' schizofrenica.
Il mio editor non capiva il problema e così mi sono rivolto a l'editor della rete - che comandava sul mio editor - e sono riuscito a fare eliminare la scena dell'omicidio.
Perché vi sto raccontando tutto questo?
Per spiegare che, a volte, in questo lavoro bisogna avere il coraggio di rinunciare a scene che ci piacciono se queste non portano avanti la storia.
Parafrasando la frase tormentone di "About a boy" di Nick Horby: "Nessuna scena di una sceneggiatura è un isola."

lunedì 14 giugno 2010

Perdite di tempo



















La mia giornata di oggi è stata, apparentemente, una continua perdita di tempo. Ho una sceneggiatura da ristrutturare e devo farlo seguendo una serie di indicazioni - fatte dal regista - che non condivido. Al momento, non ho la minima idea di come ovviare al problema.
Così oggi ho "perso tempo" e ho fatto altro: ho ascoltato un po' di musica, ho visto i primi due episodi di "The Pacific" - belli - ho scritto qualche e-mail e due messaggi per il blog.
Se sia stata veramente una perdita di tempo o se io sia riuscito a gettare qualche seme di creatività lo scoprirò domani quando mi metterò a lavorare fisicamente sulla sceneggiatura.
La maggior parte delle volte, giornate come quella odierna sono molto utili: se riesco a riporre il problema che mi angustia in un angolo remoto della mia mente per almeno 24 ore, quando lo ritiro fuori ci sono ottime probabilità che, insieme ad esso ci sia, come per magia, anche la soluzione. Non so come e perché succeda ma succede. Quasi sempre.
Lavoro e ozio, come ha scritto qualcuno, sono due momenti ugualmente importanti della creazione.
Vi saprò dire se sarà così anche questa volta.

Mediocrità e genio















In uno dei commenti al precedente post, Marco mi chiede di scrivere qualcosa sul caso Luttazzi. Stavo per cogliere l'occasione al volo, salvo che poi ho letto il post di Faraci, QUI, e mi sono chiesto: ma ho davvero qualcosa da aggiungere a quello che ha scritto Tito?
La risposta è no.
A partire dal titolo - "Battute d'arresto", geniale - non potrei mai fare meglio di così.
Ma una cosa voglio dirla e riguarda il fatto di copiare. Copiare non è una cosa grave. Senza stare citare la celebre battuta di Picasso: "I mediocri imitano, i geni copiano", quello che conta è sempre il risultato finale: nessuno può negare che Quentin Tarantino sia (anche) un copiatore, ma se il risultato di questi furti è un film come "Inglorious basterds" - a giudizio di chi scrive il suo miglior film - beh, chi se ne frega.
Luttazzi è un genio e sta subendo un linciaggio francamente eccessivo. La cosa più grave di cui si è macchiato, il suo vero errore, mi sembra la sua autodifesa: quella sì davvero insultante.
Rimando tutti coloro che sono interessati ad approfondire la questione o a un bell'articolo scritto alcuni giorni fa per l'Unità da Wu-Ming. Lo trovate QUI.
Un'ultima cosa: Marco nel suo commento dice che anche gli autori di fumetti copiano, e ci mancherebbe, poi mi chiede fin dove sia lecito spingersi. Rispondo che non lo so. Credo che questo limite dipenda, come già detto, dal risultato finale: dal modo in cui un autore usi il materiale rubato o plagiato per dare al suo pubblico/lettore qualcosa di nuovo.

lunedì 7 giugno 2010

And the winner is:












Ho visto da poco le due stagioni di "Lie to me" e la prima di "The mentalist". Le due serie hanno molte cose in comune, prima tra tutte il fatto che entrambe parlano di verità e di menzogne. Sia Cal Lightman - nomen omen - che Patrick Jane hanno la capacità di scoprirle, ma mentre il primo è uno scienziato e basa le sue intuizioni esclusivamente sullo studio delle espressioni macro e micro facciali e sulla cinesica, il secondo ricorre a metodi meno empirici e, a volte, incomprensibili. Mi spiego meglio: se ogni intuizione di Cal ha un fondamento scientifico che poi verrà rigorosamente spiegato, Patrick dice spesso cose che non avranno poi un riscontro oggettivo. Come quando nella prima puntata, davanti a un cadavere, enuncia che la vittima era gay. La cosa avrà la sua conferma nella scena seguente, ma non ci verrà mai spiegato come diavolo abbia fatto lui a saperlo.
Detto questo devo dire che "The mentalist" è una serie migliore di "Lie to me".
Patrick è più simpatico di Cal. Per quanto Tim Roth sia bravo, trovo Simon Baker più efficace nell'interpretare il suo ruolo. Roth "gigioneggia" troppo e questo lo rende, troppo spesso, irritante. Due attori monster come Hugh Laurie - House - e Tony Shalhoub - Monk - pur interpretando personaggi complessi e in qualche modo simili ai due di cui stiamo sui parlando, non sembrano voler rimarcare in ogni momento la loro bravura: non la mettono mai davanti al personaggio che interpretano, contrariamente a quanto fa Roth.
Sia Patrick che Cal devono qualcosa al dottor House. Entrambi sono geniali, ma mentre Cal ha in comune con il diagnosta il brutto carattere, Patrick condivide con lui l'enorme dolore che si porta dentro. Inutile dire quali delle due cose sia drammaturgicamente più forte.
E poi - e qui torniamo al post precedente - "The mentalist" ha una linea orizzontale - sia pure tenue - che riguarda il passato del protagonista; cosa che in "Lie to me" è quasi del tutto assente.
Certo anche Cal ha un passato, ma meno unitario e intrigante di quello di Patrick.
Patrick Jane è stato un truffatore. Metteva a frutto le sue capacità di mentalista, fingendosi un medium. In seguito a questo, la moglie e la figlia sono state uccise da un feroce serial killer che lui aveva, in qualche modo, sfidato. Seguono profondi sensi di colpa. Semplice. Lineare.
Cal Lightman, invece è stato nell'ordine: un truffatore, ha avuto rapporti non ancora spiegati con l'IRA, è stato un giocatore di poker, ha lavorato per la Cia, è stato in Bosnia durante la guerra, ecc, ecc, ecc. Davvero troppo anche perché, in fondo, nessuna di queste facce di Cal è mai stata analizzata fino in fondo. Certo, una cosa che accumuna tutti questi momenti della sua vita c'è ed è il bisogno di adrenalina. Ma ho come l'impressione che questo non coinvolga lo spettatore più di tanto, o almeno non l'ha fatto con me.
La cosa migliore di "Lie to me" è il rapporto che Cal ha con la figlia: questo sì, scritto davvero bene.
Le cose migliore di "The mentalist" sono un protagonista, forse meno sfumato, ma con cui è è più facile empatizzare e qualcosa da scoprire: l'identità di "John il rosso", il serial killer che ha ucciso sua moglie e sua figlia.

mercoledì 2 giugno 2010

Un post che mi ha commosso



















Ho stima di Sandrone Dazieri. Penso che alla Mondadori abbia fatto un eccellente lavoro e che sia uno dei migliori scrittori italiani. Anche se non l'ho mai conosciuto di persona - cosa che mi dispiace - abbiamo almeno un amico in comune, Tito Faraci, e leggo sempre con piacere anche le sue, purtroppo poche, incursioni Diabolike. E seguo con assiduità il suo blog.
Quando poco fa mi sono imbattuto in questo post che parla di serie televisive non ho potuto trattenere un applauso.
Anch'io, come lui ho iniziato ad apprezzare le serie americane con Buffy. E anch'io, come lui, ora che 24 è finito - ho visto due giorni fa l'ultima puntata dell'ottava e ultima serie (sigh) - mi sento orfano di Jack Bauer.
L'unica cosa che sembra dividerci è Flashforward che a me non ha mai detto nulla ;-)
Ma c'è un punto del suo post che mi ha colpito più di tutti gli altri: quello in cui spiega i motivi per cui sceglie di vedere con i suoi amici una serie televisiva piuttosto che un'altra:
Individuai ben presto gli elementi che servivano a tenere coeso il gruppo degli amici: prima di tutto nella serie la linea orizzontale (lo sviluppo, cioè, della storia della stagione che si svolgeva puntata dopo puntata) doveva di gran lunga predominare su quella verticale (gli avvenimenti della singola puntata). Poi doveva esservi un mistero da svelare, più o meno complesso: andava bene la magia di Lost come la quest alla bomba nucleare di 24. Poi le puntate dovevano chiudere bene, cioè rilanciando a quella successiva con un colpo di scena, costringendoci a guardarne una dopo l’altra sino a che gli occhi ci si chiudevano per il sonno. E ci piacevano i dialoghi ironici e scoppiettanti, i personaggi sopra le righe.
In questi giorni sto ultimando con alcuni colleghi - gli stessi di cui ho parlato in questo post - la bibbia di una serie per Mediaset. E' una cosa piuttosto strana per la televisione Italiana: un mistery con una forte componente soprannaturale.
Beh, non ci crederete, ma quelle esposte da Sandrone sono esattamente le caratteristiche che ho enunciato nella pagina di presentazione del progetto:
1) Una forte linea orizzontale.
2) Un mistero intrigante e avvincente che verrà ricostruito puntata dopo puntata e svelato solo nell'ultimo episodio.
3) Un Cliffhanger alla fine di ogni episodio che costringa lo spettatore a risintonizzarsi su Canale 5 la settimana seguente.
4) Dialoghi secchi e poco didascalici.
5) Personaggi di contorno fortemente caratterizzati.
Non so se Mediaset ce l'approverà, ma ora sono più sicuro di avere colpito del segno.

martedì 1 giugno 2010

Due frasi...













Due frasi cu sui sto riflettendo da un po'.

La prima è di Erwin Panotsky ed è da sempre uno dei miei hit: "Se è vero che l'arte commerciale rischia sempre di finire prostituta, non è meno vero che l'arte non commerciale rischia di finire zitella."

La seconda è di David Mamet: "Lo scopo dell'arte non è cambiare, ma allietare: non ritengo che il suo scopo sia illuminarci. Non ritengo che sia cambiarci. Non ritengo che sia istruirci. Lo scopo dell'arte è allietarci: alcuni uomini e donne (non più in gamba di voi o di me) la cui arte può allietarci sono stati esonerati dal compito di andare ad attingere acqua e di raccogliere la legna. Tutto qui."