martedì 22 marzo 2011

Odio la TIM! - Secondo atto












Stamattina ho richiamato il 191. Ennesima operatrice, questa volta molto gentile. Ennesima spiegazione ed ennesima arrabbiatura da parte mia.
- E' vero potrebbero volerci anche 30 giorni lavorativi, ma la sua pratica è stata messa in cima alle altre. L'unica cosa che posso fare è inviare un altro sollecito, - mi ha detto.
- E serve?
- Certo.
- Quindi più chiamo e più possibilità ci sono che mi riattiviate prima la scheda?
Attimo di silenzio, poi: - No, non è esattamente così.
Uno a zero per me e palla al centro!
Soddisfatto per quel primo successo, incalzo la sventurata.
- Quando riavrò la mia linea?
- Quasi sicuramente ci vorrà tutta la settimana.
- Tutta la settimana? Ma si rende conto che io-con-il-cellulare-ci-lavoro e che sono-in-questa-situazione-per-colpa-vostra... - e via di lamentazioni e contumelie varie, interrotte improvvisamente da una trovata dell'operatrice che salva lei dalla mia veemenza e deresponsabilizza l'intera TIM: - Capisco che lei sia arrabbiato, ma, purtroppo non dipende da noi...
- No?
- Dipende dalle macchine, - ha detto. - Hanno dei tempi loro.
Geniale!
Dieci a uno per lei e partita finita: davanti al genio, cari amici, non resta che ritirarsi in buon ordine, ammirati.
Domani richiamerò e vedremo che cosa si inventeranno di nuovo...

PS - Prima di chiudere la comunicazione, la geniale operatrice mi ha informato che potrei ricevere una telefonata del servizio clienti - chissà a che numero mi chiameranno? - in cui sonderanno il mio grado di soddisfazione per la riposta ottenuta dal servizio clienti.
- Capisco che è arrabbiato, - mi ha detto, - ma le domande non riguardano l'azienda: riguardano solo me. Se è rimasto soddisfatto, la prego di spingere il tasto numero 5 come risposta a tutte le cose che le chiederanno...
(CONTINUA)

lunedì 21 marzo 2011

Odio la TIM! - Primo atto















Tempo fa avevo scritto un paio di messaggi in cui esprimevo tutto il mio profondo odio per la TNT Traco (li trovate QUI e QUI).
Oggi ne scriverò un altro in cui esprimerò tutto il mio profondo odio per la TIM.
Ho lo stesso numero di cellulare dal 1994: una SIM che, nel corso del tempo, è passata da ricaricabile a business. Tre anni fa ho sottoscritto un nuovo contratto per una seconda scheda - non un'appendice di quello che avevo, ma proprio uno nuovo - sempre business.
A febbraio scorso fa ho deciso di chiudere questo secondo contratto, visto che non lo stavo utilizzando: ho fatto la domanda, compilato moduli, mandato almeno cinque fax - per qualche misteriosa ragione li perdevano sempre - ricevuto un sacco di telefonate, spedito raccomandate e venerdì scorso, finalmente... mi hanno staccato entrambi i numeri, anche quello che avevo dal 1994 e che nessuno gli aveva mai detto di toccare!
Mi hanno lasciato senza cellulare - e al momento lo sono ancora - con le conseguenze che potete immaginare, visto che ricevo parecchie telefonate ogni giorno e che quello è l'unico numero che hanno tutte le persone con cui lavoro.
Venerdì stesso ho chiamato la TIM. Una gentile signorina ha cercato di convincermi che ero stato io a sbagliarmi che avevo sicuramente chiesto la cessazione di entrambi i contratti, poi ha controllato e ha dovuto ammettere, carte alla mano, che l'errore l'avevano fatto loro: io avevo chiesto la disdetta del secondo numero, di quello e solo di quello, non di entrambi.
Visto che ero piuttosto seccato, mi ha rassicurato, dicendomi che avrebbe aperto una pratica e che, entro quello stesso venerdì o, al più tardi, sabato mattina, tutto sarebbe tornato a posto e io avrei avuto nuovamente il mio numero funzionante.
Conoscendo le operatrici del call-center ho subito pensato: - Questa prometterebbe qualunque cosa pur di farmi smettere con le mie lamentele, anche che il numero lo ripristenerà lei stessa, a mani nude, non appena avrà messo giù..
E, infatti, sabato non è successo niente e così domenica ho richiamato. Ma, purtroppo, il numero dedicato ai clienti Business non era attivo causa festività...
Ho richiamato di nuovo questa mattina e le cose hanno iniziato a diventare surreali.
Il primo operatore, dopo avermi ascoltato per circa venti secondi e avere capito che per lui rappresentavo una grana, ha messo giù. Così, all'improvviso.
Ho richiamato.
Questa volta ha risposto una donna. Ha controllato e ha detto che, effettivamente, la pratica era stata aperta, ma che loro avevano 30 giorni di tempo per ricollegarmi il numero. Io mi sono arrabbiato e lei ha risposto che avrebbe scritto sulla pratica che era urgente, pur ritenendo che non sarebbe servito a molto: - Ma è il massimo che posso fare, - ha detto.
Mi sono armato di tutta la pazienza del mondo e le ho, gentilmente, spiegato che erano stati loro a sbagliarsi, che io con il telefono ci lavoro e che un'azienda seria avrebbe dovuto ridarmi il mio numero immediatamente, chiedendomi anche scusa, altrimenti... ma prima che potessi proferire la mia terribile minaccia, l'operatrice ha messo giù, come il suo collega poco prima.
Nuova telefonata.
Un'altra signorina mi ha confermato che potrebbero anche volerci 30 giorni - ma al massimo, sia chiaro - e ha detto che avrebbe scritto "Urgente" sulla pratica.
- Ma non l'ha già scritto la sua collega? - ho chiesto.
A quanto pare no, non l'aveva fatto.
Ho ricominciato con le recriminazioni, a cui ho aggiunto anche ben due minacce due: che se non mi avessero ridato il mio numero entro domani avrei cambiato subito operatore e che avrei, contestualmente, denunciato la TIM per "sospensione di pubblico servizio", chiedendo i danni.
A questo punto la signora ha detto che, vista la situazione e dato che l'errore lo avevano fatto loro, avrebbe potuto far passare la mia pratica sopra le altre e mandarla alla dirigenza, invece che ai reparti - qualunque cosa questo significhi - in questo modo, tutto sarebbe stato fatto più velocemente.
Esausto l'ho perfina ringraziata prima di mettere giù.
Se anche domani mattina, come probabile, non avrò ancora il mio numero funzionante, richiamerò e ricomincerò tutto da capo... sempre più arrabbiato.
Ma ditemi voi se si può vivere in questo modo.
(CONTINUA)

venerdì 18 marzo 2011

Le scarpe strette












L'altro giorno sono andato a comprare un paio di scarpe. Sapevo già che cosa cercavo - marca e modello, sono uno preciso - e il negozio in cui sono entrato, le vendeva. La commessa mi ha chiesto che numero portavo e io le ho riposto: - 45.
Lei mi ha pregato di seguirla e si è incamminata su per una scala: strano, di solito spariscono nel retro, lasciandoti nel negozio e poi ritornano con la scatola; ma va bene lo stesso. Abbiamo fatto due piani e siamo arrivati in una sorta di magazzino dove erano impilate centinaia di scatole di scarpe.
La commessa ha guardato, poi si è girato e mi ha detto, testuale: - Mi dispiace, ma abbiamo solo fino al numero 42, - poi: - Le vuole lo stesso?
Per un attimo sono stato tentato di rispondere di sì: che adoro portare scarpe di tre numeri più piccole, ma poi ho lasciato perdere.

mercoledì 2 marzo 2011

Aneddoto di lavorazione


















Qualche giorno fa avevo il cellulare scarico e non ero allo studio. Quando sono rientrato, ho messo il telefonino sotto carica e poi mi sono accorto che avevo un messaggio sulla segreteria del fisso. Era il produttore di uno dei Tv-Movie che ho scritto: mi chiedeva di richiamarlo appena avessi sentito il messaggio.
Accendendo il cellulare, ho visto che c'erano altre due chiamate proveniente sempre dallo stesso cellulare. Dato che il produttore si trova a Malta, dove stanno girando il suddetto film, mi sono preoccupato e l'ho chiamato, pensando che avessero qualche problema sul set.
Nel film c'è una scena in cui la protagonista viene aggredita in un vicolo da qualcuno che cerca di ucciderla. La sua guardia del corpo, che lei aveva appena licenziato, la salva e poi la riaccompagna a casa. I due entrano. STACCO. Lui e lei sono nel salotto. La donna è seduta sul divano, ancora scossa per l'aggressione subita. Lui parla al telefono con un poliziotto suo amico. Quando chiude la telefonata, la donna gli chiede di sedersi accanto a lei. Il bodyguard lo fa: lei appoggia la testa sul petto dell'uomo, lui le cinge le spalle con un braccio e i due rimangono lì così, in silenzio. STACCO.
E' una scena narrativamente importante: il primo momento d'intimità che hanno due personaggi che, fino a quel momento, avevano solo bisticciato.
Quando, a Malta, stavano per girare la scena di cui sopra, è sorto il problema che ha provocato le telefonate, esemplificato dalla domanda: ma tra il momento in cui è rientrata a casa e quello in cui la troviamo sul divano, la protagonista si è cambiata?
Sulla sceneggiatura scritta da me e da Alberto Ostini non c'era scritto niente. Secondo l'attrice americana che interpreta il personaggio e la produttrice Mediaset (due donne) sì, si era cambiata. Secondo il regista e il produttore (due uomini), no. Femmine contro maschi. Serviva un altro parere e così il produttore mi aveva chiamato. Io ho risposto, senza conoscere tutti i retroscena del set, che non si era cambiata - in caso contrario l'avrei specificato sulla sceneggiatura - e siamo andati sul 3 pari.
Ma questa cosa mi aveva incuriosito e così ho fatto una specie di mini sondaggio tra i conoscenti che avevo a portata di voce: tre donne su tre, sostenevano che si era cambiata e due uomini su due, che no, era rimasta con gli stessi abiti. Bizzarro. O forse no.
Non so che cosa poi abbiano deciso di fare sul set, ma porsi questi problemi significa fare e bene il proprio mestiere. Significa curare una delle cose più importanti in un film, una di quelle che fanno la differenza: i dettagli.
Bravi!

Non siete Stato voi














E' l'unica canzone dell'album Sogno eretico che Michele Salvemini, in arte Caparezza, non canta con la sua solita vocina: qualcosa vorrà dire.
Per quanto mi riguarda, la trovo un'invettiva - figura retorica che amo in modo particolare - davvero potente ed efficace.

Non siete Stato voi che parlate di libertà come si parla di una notte brava dentro i lupanari.
Non siete Stato voi che trascinate la nazione dentro il buio ma vi divertite a fare i luminari.
Non siete Stato voi che siete uomini di polso forse perché circondati da una manica di idioti.
Non siete Stato voi che sventolate il tricolore come in curva e tanto basta per sentirvi patrioti.
Non siete Stato voi né il vostro parlamento di idolatri pronti a tutto per ricevere un'udienza.
Non siete Stato voi che comprate voti con la propaganda ma non ne pagate mai la conseguenza.
Non siete Stato voi che stringete tra le dita il rosario dei sondaggi sperando che vi rinfranchi.
Non siete Stato voi che risolvete il dramma dei disoccupati andando nei salotti a fare i saltimbanchi.
Non siete Stato voi. Non siete Stato, voi.
Non siete Stato voi, uomini boia con la divisa che ammazzate di percosse i detenuti.
Non siete Stato voi con gli anfibi sulle facce disarmate prese a calci come sacchi di rifiuti.
Non siete Stato voi che mandate i vostri figli al fronte come una carogna da una iena che la spolpa.
Non siete Stato voi che rimboccate le bandiere sulle bare per addormentare ogni senso di colpa.
Non siete Stato voi maledetti forcaioli impreparati, sempre in cerca di un nemico per la lotta.
Non siete Stato voi che brucereste come streghe gli immigrati salvo venerare quello nella grotta.
Non siete Stato voi col busto del duce sugli scrittoi e la costituzione sotto i piedi.
Non siete Stato voi che meritereste d'essere estripati come la malerba dalle vostre sedi.
Non siete Stato voi. Non siete Stato, voi.
Non siete Stato voi che brindate con il sangue di chi tenta di far luce sulle vostre vite oscure.
Non siete Stato voi che vorreste dare voce a quotidiani di partito muti come sepolture.
Non siete Stato voi che fate leggi su misura come un paio di mutande a seconda dei genitali.
Non siete Stato voi che trattate chi vi critica come un randagio a cui tagliare le corde vocali.
Non siete Stato voi, servi, che avete noleggiato costumi da sovrani con soldi immeritati, siete voi confratelli di una loggia che poggia sul valore dei privilegiati come voi che i mafiosi li chiamate eroi e che il corrotto lo chiamate pio e ciascuno di voi, implicato in ogni sorta di reato fissa il magistrato e poi giura su Dio: "Non sono stato io".

martedì 1 marzo 2011

Carlo Bixio















Ieri è morto a Milano, per un malore, a soli 69 anni, Carlo Bixio. Probabilmente il suo nome è ignoto alla maggior parte delle persone che frequentano questo blog, ma era uno dei più importanti e più bravi, produttori italiani. La sua società, la Publispei, ha prodotto negli ultimi anni alcune delle serie televisive italiane di maggiore successo: Un medico in famiglia, I Cesaroni, la miniserie Sissi e quel miracolo di intelligenza e leggerezza che è Tutti pazzi per amore, in cui Bixio era riuscito a legare due dei suoi grandi amori: il racconto per immagini e la musica.
Lo spettacolo, Carlo Bixio ce l'aveva nel DNA: suo padre Cesare Andrea, oltre che l'inventore della canzone italiana e uno dei più importanti discografici italiani è stato autore, nel 1930, della colonna sonora del primo film italiano parlato e di canzoni come: Bambina, Parlami d'amore Mariù, Mamma, Tango delle capinere, Vivere, Miniera e Violino zigano, solo per citare le più note.
Io ho conosciuto Carlo alla Publispei, un paio di anni fa quando, insieme a Fabrizio Lucherini e a Dario Argento, stavo preparando per lui la bibbia di una serie televisiva intitolata Tracce di paura. La serie poi non si è fatta, ma di Bixio conservo il ricordo di un uomo colto, simpatico, ironico; con una bella faccia da ragazzino. Professionalmente era un appassionato e - cosa che gli invidiavo di più - conosceva il modo per entrare nei dettagli delle cose: Carlo Bixio era un produttore vero come non se ne trovano più molti in questi paraggi, ahinoi.
Ai suoi familiari vanno le mie più sentite condoglianze.

No! Mollica, no!
















Un amico che segue il blog mi ha detto che sembro Vincenzo Mollica: uno a cui piace qualunque cosa. Gli ho risposto che non era vero perché, contrariamente a Mollica che è costretto per lavoro a parlare un po' di tutto, io scelgo con cura gli argomenti su cui esternare, in base a criteri molto precisi.
I motivi che mi possono spingere a scrivere un post su un film, un libro o su una serie televisiva possono essere, sostanzialmente, due: segnalare qualcosa che mi è piaciuto molto o stroncare qualcosa che mi ha veramente indignato.
Le cose di cui non parlo, non le ho lette/viste/ascoltate o mi hanno lasciato del tutto indifferente: e sono la stragrande maggioranza, credetemi.

Il sogno eretico


















Il rap non mi piace. Quello Made in Italy poi, ancora meno. Con un'unica, immensa, eccezione: Caparezza.
Trovo che rispetto ai vari Piotta, Fabri Fibra, Cor Veleno o Flaminio Maphia, solo per citare alcuni dei rapper italiani più noti, Caparezza venga veramente da un altro pianeta: probabilmente dalla luna, come cantava lui stesso in un suo memorabile pezzo di qualche anno fa.
Oggi è uscito il suo nuovo disco: Il sogno eretico.
Questo è il primo singolo, cantato insieme a Tony Hadley: godetevelo.