mercoledì 21 settembre 2011

Sono tornato



















Ciao a tutti. E' un po' che manco dal blog. Non per motivi particolari, avevo semplicemente bisogno di stare un po' per conto mio. Presto riprenderò i miei post con regolarità - sono successe un sacco di cose in questi mesi - ma non ora. Qui volevo solo avvertire tutti coloro che martedì prossimo 27 Settembre si troveranno a passare per Roma, che al ROMA FICTION FEST ci sarà l'anteprima del film di Roy Bava: "Gemelle".
Il Tv-movie fa parte di una collection da me scritta e curata, intitolata "Sei passi nel giallo", che andrà in onda questo autunno su Canale 5.
La proiezione sarà all'Auditorium alle 22.30 e in sala, oltre a me e al mio co-sceneggiatore Stefano Sudrié, saranno presenti anche il regista e il cast.

Ecco qui una breve scheda di presentazione, tratta dal catalogo del festival:

Roma Fiction Fest 2011: programma completo
SEI PASSI NEL GIALLO - GEMELLE
(Leader Film Company per RTI - Mediaset)
Regia: Roy Bava
Italia 2011, 100'
Angela Wyler incarica il commissario Valerio Strada di ritrovare Christine, la sua gemella che non sente da due anni e che aveva avuto tempo prima una turbolenta relazione con il poliziotto. Esordio alla regia di Roy Bava, figlio di Lamberto e nipote di Mario. Con Daniele Pecci, Erica Durance, Thomas Arana, Veronica Lazar.

Come detto più volte, questo ciclo di sei film è una delle poche cose televisive che ho fatto di cui vado orgoglioso e "Gemelle", in particolare, mi sembra che sia venuto davvero bene.
A presto.

mercoledì 11 maggio 2011

Mrchlands












Ennesima serie inglese (mini-serie, in realtà) che mi ha profondamente emozionato e non solo perché sono un grande appassionato di Ghost-story.
Si chiama "Marchlands". Il format è quello di una serie americana: "The Oaks", di cui, come succede spesso - è stato realizzato solo il pilota. Non so come fosse, ma la mini che ne ha tratto ITV1 è davvero bella.
Il concept è riassumibile in poche righe, come ogni buon concept che si rispetti: una casa raccontata in tre periodi diversi (1968, 1987 e 2010). Il dramma che dà avvio alla vicenda è accaduto nel 1968 quando la piccola Alice è annegata in circostanze non troppo chiare. Vengono narrati il lutto e i sensi di colpa dei suoi genitori e dei nonni.
Nel 1987 un'altra famiglia si trasferisce nella casa e la piccola Amy inizia a vedere il fantasma di Alice.
Nel 2010 è la volta di una terza famiglia, una coppia. Lei è incinta e inizia a incuriosirsi di quel mistero di tanti anni prima che, a quanto pare, coinvolge in qualche modo il marito...
La serie - 5 puntate da 50' - ha momenti di tensione, anche se il fantasma di Alice è solo un pretesto per parlare dell'evoluzione della famiglia inglese attraverso gli anni e per vivisezionarla. Con lucidità e con un pizzico di crudeltà.
Il finale, in cui il mistero della morte di Alice viuene finalmente risolto e tutti i pezzi sparsi lungo quarant'anni di storia della casa vanno al loro posto, è davvero splendido e geniale nella sua - apparente - banalità.

martedì 3 maggio 2011

Mater Tenebrarum












Come già detto nel post precedente sono stato sul set del quinto Tv-Movie della collection "Sei passi nel giallo".
Dopo tre film diretti da Lamberto Bava e uno da Edoardo Margheriti, è ora la volta di Roy Bava, qui al suo esordio cinematografico. Il set è tra i migliori che io abbia "visitato": le location sono bellissime, Roy gira ottimamente (ma vista la sua esperienza come aiuto-regista e il suo DNA c'era da aspettarselo) e dirige molto bene i due attori protagonisti: Daniele Pecci e la bellissima Erica Durance (Lois Lane di "Smalville").
Due gli avvenimenti degni di nota che mi sono capitati.
1) Ho conosciuto Veronica Lazar che fa una particina nel film. Sull'importanza di "Inferno" di Dario Argento, nella mia formazione, ho già detto altrove, ma lei, oltre che "Madre Tenebrarum" - dunque un'icona assoluta - è stata anche tra i protagonisti di un'altro dei miei film preferiti: "L'aldilà" di Lucio Fulci. Quando me l'hanno presentata ero davvero emozionato, come raramente mi succede...
2) Poco prima di andare all'aeroporto, ho incrociato il mio amico Edoardo Margheriti che si trova a Malta per preparare il sesto Tv-Movie. Gli è piaciuto il cappello che portavo e così mi ha fatto scattare due fotografie, che potrebbe inserire nel suo prossimo film. Che cosa significa questo?
"Souvenir", questo il titolo provvisorio del Tv-Movie, narra la storia di un ex poliziotto americano che, trasferitosi a Malta, trova nascosti nel garage della casa che ha affittato, degli scalpi di donna. Si tratta dei trofei di un feroce serial killer che aveva ucciso in quella zona 25 anni prima, per poi fermarsi improvvisamente. In seguito a quel ritrovamento, l'assassino - o chi per lui - torna a uccidere.
Non vi starò a dire di più, se non che ad un certo punto apparirà su un giornale d'epoca, la fotografia del vecchio serial killer, morto 25 anni prima nel rogo della sua casa: beh, ad interpretare sia pure solo fotograficamente, Ugo Magris, il feroce assassino, autore di ben sei omicidi, potrei essere io!
Che dire?! Dopo avere scritto nel corso degli anni - a fumetti e per la Tv - così tante storie che avevano come protagonisti dei serial killer, questa è davvero una bella soddisfazione: la degna coronazione di una carriera!

lunedì 25 aprile 2011

Koontz a Malta
















In seguito a un giudizio su di lui non proprio lusinghiero da parte di uno degli scrittori che stimo di più, Stephen King: "A volte geniale, altre volte illeggibile" e alla lettura di un suo vecchio libro che non mi era piaciuto per niente, ho sempre snobbato Dean Koontz, pur avendo acquistato negli anni parecchi suoi libri.
Poi di recente, dopo avere scoperto che un film che ho molto amato: "Alta tensione" di Alexandre Aja, aveva molti punti in comune con "Intensity" dello stesso Koontz, ho deciso di leggere questo romanzo... e devo dire che mi è piaciuto. Non che sia un capolavoro, è chiaro, ma è dannatamente efficace. La trama è semplicissima ed è di quelle che in mano a scrittori meno avveduti, avrebbe potuto risolversi in un pateracchio: due amiche, Laura e Chyna, vanno a passare una breve vacanza nella casa dei genitori di Laura. La prima notte un serial killer entra in casa e uccide tutti tranne Chyna, Per una serie di motivi che non sto qui a dirvi, la ragazza si rifugia nel camper dell'assassino e arriva fino a casa sua. E qui, quello che fino a quel momento era un terrificante incubo, si trasforma in qualcosa di perfino peggiore...
La storia è ambientata tutta in poco più di 24 ore e Koontz riesce a reggere più di 300 pagine senza mai un momento di stanca. CHAPEAU.
Visto che sto per partire per Malta, dove Roy Bava sta girando il quinto Tv-Movie della serie: "Sei passi nel giallo", ho infilato dentro la borsa ben tre romanzi di Koontz: "Panthoms", "Velocity" e "Strangers".
Ci risentiamo tra una settimana con la seconda lezione del laboratorio e le recensioni di questi tre libri da cui mi aspetto se non grande letteratura - seppure di genere - almeno qualche brivido...
A presto.

venerdì 22 aprile 2011

Misfits



















In attesa di mettere online la seconda lezione del mio Laboratorio di scrittura fiction televisiva, volevo consigliarvi una serie inglese che sta passando sui Canali Sky: "Misfits". Vi si narrano le storie di 5 ragazzi affidati ai servizi sociali che, colpiti da un fulmine, acquistano i superpoteri. Simon, lo sfigato del gruppo, può diventare invisibile. Curtis, ex corridore, manda indietro il tempo. Kelly è in grado di leggere nel pensiero, La bella Alisha, scatena un irrefrenabile desiderio in ogni persona che tocca e Nathan, il più "escatologico" e fuori di testa di tutti... beh, quale sia il potere di Nathan si scoprirà solo nell'ultima puntata della prima stagione e quindi non ve lo anticipo.
La serie è molto diversa sia dai film degli "X-Men" che da "Heroes": è colta e "citazionista", intelligente, divertente e irriverente; in alcuni momenti, come nell'episodio sul Natale che chiude la seconda stagione, diventa proprio iconoclasta.
Malgrado i temi - "sociali" ma non solo - che vengono trattati siano seri e "importanti", il tono è sempre sopra le righe, così come i nemici che i nostri si troveranno via via ad affrontare. Tra questi spicca il ragazzo latto-cinetico, in grado di muovere, con la sola forza del pensiero, il latte e i latticini... detto così fa ridere, ma vedere questo personaggio all'opera, quando decide di uccidere qualcuno tramite questo assurdo potere, è veramente terrificante.
Insomma, "Misfits" è delle migliori serie di quest'anno e dimostra per l'ennesima volta - poi non dirò più, prometto - come la televisione inglese non abbia più niente da invidiare a quella statunitense.

giovedì 14 aprile 2011

Laboratorio di scrittura fiction: I lezione (parte seconda)


















Proseguiamo e concludiamo la prima lezione spiegando in poche parole che cosa è una storia.


Un personaggio ha un obiettivo. Tra lui e questo obiettivo ci sono tutta una serie di ostacoli. Lo scontro tra l'obiettivo e gli ostacoli crea il conflitto.


Scrive Syd Field, lo studioso americano che ha teorizzato "il paradigma", ovvero la moderna struttura in tre atti:


“Senza conflitto non c'è personaggio, senza personaggio non c'è azione, senza azione non c'è storia, senza storia non c'è sceneggiatura

Ne segue che il conflitto è l'elemento principale di ogni drammaturgia.


Attraverso i personaggi proviamo emozioni e ci identifichiamo con loro. Il loro obiettivo e gli ostacoli che devono superare per raggiungerlo diventano i nostri.

E' tutto qui, gente, anche se è più facile teorizzarlo che metterlo in pratica.


Ma procediamo con ordine, iniziando da quello che spinge un personaggio verso un obiettivo: quello che John Truby chiama il need, il bisogno che l'eroe ha dentro di sé e che sente di dovere soddisfare per avere una vita migliore.


Prendiamo uno dei film usati come esempio da Truby nel suo libro "Anatomia di una storia": (Dino Audino Editore): "Salvate il soldato Ryan" di Steven Spielberg.

Need - Il capitano Miller deve compiere il suo dovere a dispetto delle sue paure.

Desire (o obiettivo) - Trovare il soldato Ryan e riportarlo indietro sano e salvo.

L'obiettivo di un personaggio è quello che desidera in quella determinata storia, non ciò che cerca nella vita.

Il need, che l'eroe non dovrebbe conoscere a livello conscio, può essere innescato da un'occasione che gli viene offerta e che migliorerà la sua vita, oppure da qualcosa che gli viene tolto.


Senza un obiettivo chiaro e comprensibile la storia non funziona.


Un buon obiettivo deve, perciò, avere 3 qualità.

1. Il pubblico deve essere in grado di comprenderne l'importanza.

2. Deve condurre il protagonista in contrasto diretto con il suo antagonista.

3. Dev'essere abbastanza difficile da permettere al personaggio di cambiare nel corso della storia.


Come detto, tra un protagonista e il suo obiettivo ci sono degli ostacoli.

Questi devono essere proporzionati alle possibilità del personaggio, e in progressione, sempre più difficili via via che la storia prosegue.


Il conflitto può essere di 2 tipi.

Interiore. L'eroe lotta contro sè stesso.

Relazionale. L'eroe lotta contro un antagonista (o un gruppo) che ha il suo stesso obiettivo.


Ogni buona storia è un viaggio che un protagonista affronta per raggiungere il suo obiettivo da cui può uscire uguale a se stesso o cambiato. In questo secondo caso avremmo quello che viene chiamato: l'arco di trasformazione del personaggio analizzato in maniera molto intelligente ed approfondita da Dara Marks, la teorica del fatal flaw. Secondo questa studiosa un protagonista invincibile e perfetto è noioso. Bisogna dargli qualche punto debole che lo renda simile a noi. Ed ecco, appunto, il Fatal flaw.


Si chiama FATAL FLAW la carenza essenziale - il difetto fatale - che un protagonista si porta dentro fin dall’inizio del film.

Premesso che:

a) Il cambiamento è essenziale per la crescita.

b) Se qualcosa non cresce o non si evolve ed è destinato a morire.

c) In natura non esiste una condizione di stasi.

ne consegue che, per crescere, un protagonista deve superare e vincere il suo fatal flaw.


Ma di tutto questo parleremo in maniera più approfondita nel corso della seconda lezione.


Ora torniamo a bomba sul vero argomento di questo "Laboratorio" e affrontiamo i generi della fiction.

Per farlo, ho rubato lo schema che segue al mio amico Fabrizio Lucherini, vice-direttore dell'osservatorio sulla fiction televisiva, esimio professore in quel di Firenze, raffinatissimo teorico e ottimo sceneggiatore.


Numero segmenti

Durata segmenti

Morfologia segmenti

Prospettiva seriale

Film-tv

1

90’

compiuta

chiusa

Miniserie

Da 2 a 6

Max 12 (raro)

90’

50’ (raro)

incompiuta

chiusa

Serie

Da 2 in su

Standard: 12/16 24/26

5’ (interstiziali)

25’ (sitcom)

50’, 90’

compiuta

aperta

Serial

Più di 8

Standard

12/24 (prime time)

200/300

(serial quotidiano)

25’ (soap)

60 (telenovela)

50’/90’

incompiuta

chiusa (telenovela)

Aperta

(soap)

Collection

Da 2 in su

variabile

compiuta

aperta

Dell'analisi di oguno di questi formati e delle sue implicazioni parleremo nella seconda lezione che metterò online nei prossimi giorni.


A presto.




lunedì 4 aprile 2011

Laboratorio di scrittura fiction: I lezione (parte prima)















Ho pensato a lungo a come impostare questo dialogo con voi e alla fine ho deciso che il sistema migliore era quello di inserire, con un minimo di commento, le slide che ho preparato per le mie lezioni all'Università del Molise e aspettare idee, domande o approfondimenti.
Per prima cosa cerchiamo di definire che cos'è uno sceneggiatore, aprendo un dizionario.

Devoto Oli

Sceneggiatore (sce-neg-gia-to-re) s.m. (f. –trice) – Autore della sceneggiatura di un’opera teatrale o cinematografica, di una trasmissione radiofonica o televisiva, di un albo a fumetti.

Okay, ma che cosa è una sceneggiatura?

Devoto Oli

Sceneggiatura (sce-neg-gia-tu-ra) s.f. – Suddivisione in scene o quadri, descritti nelle loro caratteristiche visive e acustiche, dell’azione di un’opera teatrale, cinematografica o radiotelevisiva, fumettistica.

Più chiaro, ma nemmeno troppo. La domanda è sempre quella: che cosa diavolo fa uno sceneggiatore?

Azzardiamo una definizione.

Uno sceneggiatore mette in fila, una dopo l’altra, una serie di scene (poche) che siano rappresentative dei momenti cardine di quello che intende raccontare e che permettano allo spettatore di immaginare anche tutto quello che non viene mostrato, permettendogli di riempire da solo i vuoti.

A differenza di uno scrittore. uno sceneggiatore mette su carta solo l'essenziale, quello che può essere mostrato e i dialoghi che possono essere recitati: non va mai dimenticato, infatti, che un film è un'esperienza essenzialmente visiva.
Una sceneggiatura dev'essere scritta in modo conciso, senza troppi fronzoli. Troppi sceneggiatori dimenticano, quando scrivono, che non stanno lavorando a un romanzo.

Esprimere il massimo con il minor numero di parole

Pascal scrisse una volta una lunga e interminabile lettera a un amico, poi si scusò nel post scriptum affermando di non avere avuto tempo di scriverne una più breve.

A questo punto credo che potrebbe essere utile vedere come è scritta esattamente una sceneggiatura.
Ecco l'inizio del Tv-Movie "La Medium", scritto da me e da Fabrizio Lucherini e girato da Lamberto Bava che andrà in onda su Canale 5 il prossimo autunno all'ìinterno di una collection intitolata: "Sei passi nel giallo".

















La prima pagina: titolo, autore/i. E basta.



















L'inizio del film.
Le scene sono numerate perché la sceneggiatura è già entrata in produzione. Quando scrivete la prima stesura non fatelo.
L'intestazione di scena si chiama in inglese SCENE HEADING. Di solito dura meno di una riga. Si scrive INT. o EST. poi il luogo in cui la scena è ambientata e il momento del giorno in cui si svolge.
Sotto abbiamo quella che viene chiamata parte sinistra (ACTION), in cui viene descritto tutto quello che si vede. Quando un personaggio entra in scena il suo nome viene scritto in MAIUSCOLO.
La sceneggiatura dev'essere scritta al presente perché quello che stiamo raccontando si svolge adesso.
Tra parentesi, sotto il nome del personaggio (CHARACTER) che parla e prima del dialogo (DIALOGUE), vengono date indicazioni sul tipo di recitazione richiesto all'attore (PARENTHETICAL). Ma non esagerate con le parenteticali - come le chiama un mio amico - il tono con cui una battuta dev'essere pronunciata, dovrebbe essere deducibile dal dialogo stesso.
I SUONI e i RUMORI vanno sempre scritti in maiuscolo.


































Le altre informazioni utili potete dedurle dalla sceneggiatura allegata, cliccandoci sopra si allarga e potrete apprezzarla in tutta la sua interezza.
Queste pagine sono formattate "all'americana", nel modo standard usato dagli sceneggiatori di tutto il mondo: l'unico attualmente ammesso.
Analizzeremo la sequenza in dettaglio nel prosieguo del nostro laboratorio (lezione 4): per ora mi interessava solo mostrarvi com'è fisicamente una sceneggiatura. Bella, vero?
Ma quali sono le cose da fare o da evitare quando ne scrivete una?
Ecco i 17 comandamenti di David Trottier autore di un esauriente e utilissimo manuale per sceneggiatori.
1. Non aggiungete alla sceneggiatura copertine “simpatiche”, illustrazioni, disegni o storyboard.
2. Non numerate MAI le scene: ci penserà la produzione. Ma contatele, in modo da sapere sempre quante sono.
3. Non usate font "simpatici" o di varie dimensioni: solo COURIER o COURIER NEW 12. Questo carattere e le sue dimensioni sono lo standard con cui, chi di dovere, misurerà la "durata" filmica del vostro script: semplificategli la vita.
4. Non giustificate i margini a sinistra.
5. Non usate mai e per nessuna ragione né il grassetto né il corsivo.
6. Non usate indicazioni su come una scena debba essere girata o dove sistemare la M.d.P. a meno che non sia strettamente necessario: i registi odiano che lo sceneggiatore gli dica come devono fare qualcosa e voi non volete che un regista vi odi, vero?
7. Non mettete date sulla vostra sceneggiatura: né nella pagina del titolo né su nessuna di quelle successive. Uno script invecchia subito.
8. Non scrivete “Prima revisione, “Seconda revisione” o quant’altro.
9. Non inserite nella sceneggiatura suggerimenti sul cast o le biografie dei vostri personaggi, a meno che non vi siano state richieste espressamente.
10. Non inserite una lista dei personaggi o dei set, a meno che non vi siano state richieste espressamente.
11. Non inserite nessuna sinossi della storia a meno che non vi sia stata richiesta espressamente: probabilmente l'avete già scritta quando avete presentato il soggetto, questa è un altra fase del lavoro.
12. Non inserite il budget del film.
13. Non inserite il titolo (o altro) all’inizio di ogni pagina.
14. Correggete sempre gli errori e i refusi. Curate in maniera maniacale la grammatica e la punteggiatura. Almeno formalmente la vostra sceneggiatura dev'essere perfetta. NON SIATE SCIATTI. MAI.
15. Rispettate la formattazione standard: si trova su qualunque manuale e in software di scrittura come: Final Draft o Movie Magic Screenwriter (ma ce ne sono anche altri, molto meno costosi). C'è un motivo se la sceneggiatura viene scritta esattamente in questo modo.
16. Non inserite (CONTINUA) all’inizio o alla fine di ogni pagina.
17. Se state scrivendo un film o un Tv-Movie NON superate MAI le 120 pagine. Se state scrivendo un episodio da 50' non superate mai le 60.
E' tutto chiaro? Sì? Bene, allora possiamo passare ad altro.
Per uno sceneggiatore - contrariamente che per uno scrittore - il talento narrativo è primario, quello letterario - che pure è bene che ci sia - è secondario.

TALENTO LETTERARIO vs TALENTO NARRATIVO

Potendo scegliere tra materiale banale raccontato splendidamente e materiale profondo raccontato male, chiunque di noi sceglierà sempre il primo. I buoni narratori sanno come spremere vita dalle cose più banali, i narratori scadenti riducono a banalità anche le cose più profonde.

Come dice Robert McKee, uno dei guru della sceneggiatura americana, autore del fondamentale STORY - che invito tutti voi a leggere: è il migliore manuale di scrittura mai pubblicato - una buona storia rende possibile un buon film, mentre l’incapacità di far funzionare una storia, garantisce un disastro certo.


In perfetto accordo con McKee ritengo, altresì, che l'esperienza sia sopravalutata. Per la maggior parte di quelli che fanno questo lavoro, la conoscenza acquisita tramite lettura o studio equivale o supera l'esperienza soprattutto se quell'esperienza non è stata rielaborata.


Se vuoi scrivere devi anche leggere, vedere film, mostre, andare a teatro. Devi dedicarti anima e corpo a quella che Ray Bradbury chiama il nutrimento della propria musa. Non c'è alternativa se non volete che la vostra musa muoia di fame.


Ecco, a questo proposito, un brano, bellissimo e poetico, tratto dal libro "Lo zen nell'arte della scrittura", già citato più volte in questo blog.

"Il nutrimento della Musa è una continua rincorsa degli amori, la ricerca di questi amori a dispetto dei bisogni presenti e futuri, il movimento da trame semplici a trame sempre più complesse, da quelle ingenue a quelle più informate, da quelle non intellettuali a quelle intellettuali. Niente è perso. Se ti sei mosso su territori sconfinati e hai osato amare delle cose stupide, avrai imparato anche dagli oggetti più primitivi che hai collezionato e che hai messo da parte nella tua vita. Da una curiosità sempre viva in tutte le arti, dalla cattiva radio al buon teatro, dalla ninnananna della sinfonia, dal racconto primitivo al Castello di Kafka, c'è la qualità di base da mettere da parte, ci sono verità da trovare, tenere, assaporare ed usare in futuro. Essere un bambino dei tempi che furono significa fare tutte queste cose.

Non separarti, per i soldi, da tutto il materiale che hai collezionato nel corso della tua vita.

Non separarti, per la vanità, dalle pubblicazioni intellettuali, da quello che sei, dalla materia dentro di te che fa di te un individuo e che ti rende indispensabile agli altri.

Per nutrire la tua musa, quindi, devi sempre essere stato affamato di vita fin da quando eri un bambino. Se non è stato così, è un po' troppo tardi per cominciare. Meglio tardi che mai, naturalmente. Ti senti pronto?

Significa che devi fare delle lunghe passeggiate di notte per la tua città o per il tuo paese, o passeggiare in campagna di giorno. E lunghe passeggiate, non importa quando, per negozi di libri e biblioteche.

E mentre la nutri, come mantenere la tua Musa è il tuo problema finale.

La Musa deve avere una forma. Scriverai un migliaio di parole al giorno per dieci o vent'anni per provare a darle una forma, per imparare sulla grammatica e sulla costruzione di una storia in modo che questo diventi parte del subconscio, senza restringere o distorcere la musa.

Vivendo bene, osservando come vivi, leggendo bene e osservando come leggi, hai nutrito il tuo io più originale. Esercitandoti nella scrittura, con ripetizione degli esercizi, imitazione, buoni esempi, tu hai creato un posto pulito e illuminato bene dove tenere la Musa. Gli hai dato o le hai dato, qualsiasi cosa sia, dello spazio in cui muoversi. E attraverso l'allenamento, ti sei rilassato abbastanza per non sgranare gli occhi in modo scortese quando l'ispirazione entrerà nella stanza.

Hai imparato ad andare alla macchina da scrivere e conservare l'ispirazione per tutto il tempo, mettendola sulla carta. E hai imparato a rispondere alla domanda di prima: la creatività preferisce che la si parli ad alta voce o sottovoce?

La voce forte, la voce appassionata sembra piacerle di più. La voce in rivolta, il contrasto tra gli opposti. Siedi alla tua macchina da scrivere, butta giù caratteri di vario tipo, lasciali volare insieme in un grande clangore. Immediatamente il tuo io segreto è in piedi. Amiamo tutti la decisione, i proclami; tutti gridano per, tutti gridano contro.

Questo non significa che una storia tranquilla sia da escludere. Uno può eccitarsi e appassionarsi per una storia tranquilla coma per qualsiasi altra. C'è eccitazione nella calma bellezza della Venere di Milo. Lo spettatore, qui, diventa importante come la cosa vista.

Sii certo di questo. Quando l'amore onesto parla, quando comincia la vera ammirazione, quando sale l'eccitazione, quando l'odio si solleva in spire come il fumo, non devi mai dubitare che la creatività sarà con te per sempre. Il nucleo della tua creatività dovrà essere lo stesso nucleo della tua storia e del personaggio principale della tua storia. Che cosa vuole il tuo personaggio, qual è il suo sogno, che forma ha e com'è espresso? L'espressione data è la dinamo della tua vita, anche come creatore. Nel momento esatto in cui la verità erompe, il subconscio si trasforma da un file da buttare a un angelo che scrive un libro dorato.

Allora guardati. Considera tutto quello di cui ti sei nutrito nel corso degli anni. Era un banchetto o una dieta da morto di fame?

Chi sono i tuoi amici? Credono in te? O bloccano la tua crescita con il ridicolo e l'incredulità? Se è così non hai amici. Vai a cercarne.

E infine, ti sei allenato abbastanza da poter dire quello che vuoi senza zoppicare? Hai scritto abbastanza per essere rilassato e permettere alla verità di venir fuori senza essere rovinata dall'autocoscienza affettata o cambiata dal desiderio di diventare ricco?

Nutrirsi bene significa crescere. Lavorare bene e costantemente è mantenere quello che hai imparato o conosciuto in condizione primordiale. Questi sono i due lati della medaglia che quando è lanciata non è esperienza né fatica, ma il momento della rivelazione. La moneta, per illusione ottica, diventa un tondo, brillante globo roteante di vita. È il momento in cui il ritmo del portico risuona soavemente e una voce parla. Tutti trattengono il fiato. La voce sale e scende. Il babbo racconta degli anni passati. Un fantasma nasce dalle sue labbra. Il subconscio muove e stropiccia i suoi occhi. La musa si avventura tra le felci sotto il portico, dove i ragazzi dell'estate, sparsi sul prato, ascoltano. Le parole diventano poesia che nessuno capisce, perché nessuno ha pensato di chiamarla così. Il tempo è là. Un uomo ben nutrito afferra e con calma offre la sua infinitesima porzione di eternità. Sembra una cosa grande, nella notte estiva. E lo è, come lo è sempre stato nei tempi, quando c'era un uomo che aveva qualcosa da dire e uno, quieto e saggio, che l'ascoltava."

Come Sherazade ("Le mille e una notte") o Paul Sheldon ("Misery non deve morire"), per sopravvivere tutti noi raccontiamo, quotidianamente delle storie.

Noi digeriamo gli eventi della nostra vita raccontandoli sotto forma di storie. Per esplorare ogni loro aspetto ed entrare in contatto con chi è passato per esperienze simili. Noi siamo condannati a raccontare storie esattamente come siamo condannati a respirare.

Chuck Palahniuk

Il racconto è la moneta di scambio dei rapporti umani, dice il solito McKee.

Ma che cos'è una storia e qual è la sua funzione?

E' ancora una volta, McKee a venirci incontro.

Una storia:

1. E' una metafora della vita.

2. Ci suggerisce una risposta all'eterna domanda che Aristotele pone nell'etica: come dovrebbe condurre la propria esistenza un essere umano.

3. Ci aiuta a capire chi siamo.

4. E' un veicolo che ci trasporta nella nostra ricerca della realtà, il nostro massimo sforzo per dare un significato all'esistenza.

"Una cultura non può evolversi senza una narrazione onesta e potente." è sempre McKee a dirlo.

Ma una buona storia non può essere raccontata così, come viene: va drammatizzata. Serve una tecnica e ci sono delle regole da seguire, per offrire a chi ci ascolta un buon racconto. Un narratore senza mestiere potrà al massimo avere qualche idea, ma sicuramente non saprà come usarla.

Chiudo questa prima parte della lezione con un brano di David Mamet, tratto dal libro: "I tre usi del coltello". Rubo la citazione dal corso di scrittura tenuto all'"Università Cattolica del Sacro Cuore" dal mio amico e socio Alberto Ostini: uno che tutte queste cose le conosce davvero.

"Drammatizzare fa parte della nostra natura. Almeno una volta al giorno reinterpretiamo il tempo meteorologico - un fenomeno essenzialmente impersonale - rendendolo un'espressione del nostro attuale punto di vista sull'universo: "Magnifico. Sta piovendo. Proprio oggi che mi sento giù di corda. Sempre la stessa storia, non è vero?"

Oppure diciamo: "Non ricordo di aver mai sentito un freddo simile", per creare un le­game con i nostri coetanei. Oppure diciamo: "Quando ero ragazzo gli inverni erano più lunghi", per godere di uno dei piaceri dell'invecchiamento.

Il tempo è impersonale, ma noi lo intendiamo e insieme lo sfruttiamo come elemento drammatico, cioè provvisto di una sorta di trama, allo scopo di comprendere il suo signi­ficato per il protagonista, vale a dire per noi stessi.

Drammatizziamo il tempo, il traffico e altri fenomeni impersonali utilizzando l'esagerazione, l'accostamento ironico, l'inversione, la proiezione, tutti gli strumenti impie­gati dal drammaturgo per creare fenomeni significativi dal punto di vista emotivo, e dal­lo psicanalista per interpretarli.

Drammatizziamo una vicenda prendendo gli eventi e riorganizzandoli, prolungandoli, condensandoli, in modo da comprendere il significato personale che essi hanno per noi: per noi in quanto protagonisti del dramma individuale che riteniamo sia la nostra vita.

Se dite: "Oggi ho aspettato l'autobus alla fermata", probabilmente la frase non avrà nes­sun valore drammatico. Se dite: "Oggi alla fermata ho aspettato l'autobus un sacco di tem­po", magari ne avrà un po' di più. Se diceste: "L'autobus oggi è passato subito", l'episodio non risulterebbe drammatico (e non ci sarebbe davvero motivo di raccontarlo). Ma po­tremmo dire: "Sapete quanto ci ha messo ad arrivare l'autobus oggi?" ... ed ecco che di col­po stiamo prendendo gli eventi della vita e lavorandoci sopra con strumenti drammatici.

"Oggi ho aspettato l'autobus per mezz'ora" è un'affermazione drammatica. Signifi­ca: "Ho aspettato un lasso di tempo sufficiente per essere sicuro che tu capisca che è sta­to troppo a lungo".

(E questa è una sottile distinzione, poiché colui che parla non può scegliere un lasso di tempo troppo breve se vuol essere certo che l'ascoltatore afferri il concetto, né troppo lun­go perché l'ascoltatore lo accetti come verosimile, dato che a quel punto non si tratterebbe più di dramma ma di farsa. Così il proto-drammaturgo sceglie inconsciamente, e in modo esemplare, come è nella nostra natura, la quantità di tempo che permetta all'ascoltatore di sospendere lo sua incredulità, di accettare che l'attesa. di mezz'ora non sia al di fuori del campo delle probabilità. pur rientrando nei parametri dell'insolito. L'ascoltatore pertanto accetta l'afferrnazione per il divertimento che offre, e una commedia minuscola ma per­fcrtamenre riconoscibile in quanto tale è stata messa in scena e apprezzata dal pubblico.)"

A presto.