Le parole che vi apprestate a leggere, avrebbero potuto essere inserite come commento al mio post dell'8 gennaio in cui criticavo, in maniera abbastanza dura, la fiction italiana. Poi, però, ci ho pensato su e ho deciso che, forse, valeva la pena di aprire, su questo argomento, una nuova discussione.
La domanda di Gianluca (la trovate QUI, tra i commenti a quel post): "Se il sistema in cui lavori non ti piace... perchè ci lavori?" è seria: merita una risposta più articolata e una maggiore visibilità rispetto a quella che avrebbe nella pagine dei commenti.
Il fatto è che mi piace scrivere: non so fare altro. E amo la televisione; è per questo che mi addolora vedere lo stato in cui è ridotta. Ricordare che cos'era la RAI fino a vent'anni fa, poi, non migliora di certo il mio umore.
Penso che, malgrado tutto, si possa fare qualcosa di buono anche qui da noi, in questa TV - è successo, succede, succederà ancora - e se, per raggiungere questo obiettivo, un autore deve accettare qualche compromesso e ingoiare qualche rospo, sta al singolo decidere se ne valga la pena.
Nel 2004 quando ho realizzato la mia prima sceneggiatura per la televisione, vivevo a Milano e scrivevo per la Sergio Bonelli Editore più di venti storie l'anno. Ho dovuto ridurle drasticamente e trasferirmi a Roma per iniziare un lavoro che, all'epoca, era quasi privo di prospettive, con compensi che erano quelli di uno sceneggiatore alle prime armi.
Nella mia carriera televisiva ho scritto cose che non mi piacevano: niente però, che rinnegherei in toto. L'ho fatto per guadagnare credito, di farmi un (piccolo) nome, con l'obiettivo di realizzare, un domani, qualcosa di cui potere finalmente essere orgoglioso. Questo sogno si è realizzato nel 2010, quando - oltre alla sceneggiatura del nuovo film di Dario Argento - mi è stato affidato un progetto in cui credo molto: una serie di piccoli film, intitolata: "Sei passi nel giallo", girata da Lamberto Bava e da altri registi. Trovate un articolo QUI e un po' di foto QUI. Ecco, la visione dei primi tre film di questa collection - gli altri li stanno ancora girando - mi ha ripagato di tutto.
Questo per dire che l'aventino non è necessariamente la scelta giusta: scappando ci si priva della possibilità di provare a cambiare le cose. E poi, come ha detto qualcuno: "Il sistema si cambia dall'interno".
Tutto qui?
No.
Io credo che fare parte di un sistema come quello televisivo, non impedisca a un autore di criticarlo. La rabbia, la passione con cui alcuni colleghi fanno questo mestiere, ingoiando e/o baciando rospi, e l'amore che provano per la televisione, malgrado lo sfacelo che vedono, sono tra le poche cose che possono farci intravedere un futuro diverso per la nostra fiction.
2 commenti:
beh mi sento onorato da una risposta così articolata. Che condivido, le cose non sono mai bianche e nere, ma sempre sfumate... e nessuno di noi vive e lavora nel mondo perfetto. La mia domanda aveva una radice autobiografica: lavoravo come ricercatore in italia, quando è scaduto il mio contratto e mi hanno proposto di continuare, non me la sono sentita: i problemi della ricerca italiana sono troppo strutturali, non me la sentivo di far parte di quel mondo. Così ho trovato lavoro all'estero. Potevo restare e provare a cambiare un pezzetto di quel mondo dall'interno, come stai facendo tu. Ammiro il coraggio di chi lo fa, ma non era la mia strada.
Grazie ancora!
A volte, quando ci si accorge che la strada si restringe, ci vuole più coraggio ad abbandonarla che a continuare a percorrerla. Spero che la tua scelta ti abbia portato molte soddisfazioni.
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