lunedì 7 giugno 2010

And the winner is:












Ho visto da poco le due stagioni di "Lie to me" e la prima di "The mentalist". Le due serie hanno molte cose in comune, prima tra tutte il fatto che entrambe parlano di verità e di menzogne. Sia Cal Lightman - nomen omen - che Patrick Jane hanno la capacità di scoprirle, ma mentre il primo è uno scienziato e basa le sue intuizioni esclusivamente sullo studio delle espressioni macro e micro facciali e sulla cinesica, il secondo ricorre a metodi meno empirici e, a volte, incomprensibili. Mi spiego meglio: se ogni intuizione di Cal ha un fondamento scientifico che poi verrà rigorosamente spiegato, Patrick dice spesso cose che non avranno poi un riscontro oggettivo. Come quando nella prima puntata, davanti a un cadavere, enuncia che la vittima era gay. La cosa avrà la sua conferma nella scena seguente, ma non ci verrà mai spiegato come diavolo abbia fatto lui a saperlo.
Detto questo devo dire che "The mentalist" è una serie migliore di "Lie to me".
Patrick è più simpatico di Cal. Per quanto Tim Roth sia bravo, trovo Simon Baker più efficace nell'interpretare il suo ruolo. Roth "gigioneggia" troppo e questo lo rende, troppo spesso, irritante. Due attori monster come Hugh Laurie - House - e Tony Shalhoub - Monk - pur interpretando personaggi complessi e in qualche modo simili ai due di cui stiamo sui parlando, non sembrano voler rimarcare in ogni momento la loro bravura: non la mettono mai davanti al personaggio che interpretano, contrariamente a quanto fa Roth.
Sia Patrick che Cal devono qualcosa al dottor House. Entrambi sono geniali, ma mentre Cal ha in comune con il diagnosta il brutto carattere, Patrick condivide con lui l'enorme dolore che si porta dentro. Inutile dire quali delle due cose sia drammaturgicamente più forte.
E poi - e qui torniamo al post precedente - "The mentalist" ha una linea orizzontale - sia pure tenue - che riguarda il passato del protagonista; cosa che in "Lie to me" è quasi del tutto assente.
Certo anche Cal ha un passato, ma meno unitario e intrigante di quello di Patrick.
Patrick Jane è stato un truffatore. Metteva a frutto le sue capacità di mentalista, fingendosi un medium. In seguito a questo, la moglie e la figlia sono state uccise da un feroce serial killer che lui aveva, in qualche modo, sfidato. Seguono profondi sensi di colpa. Semplice. Lineare.
Cal Lightman, invece è stato nell'ordine: un truffatore, ha avuto rapporti non ancora spiegati con l'IRA, è stato un giocatore di poker, ha lavorato per la Cia, è stato in Bosnia durante la guerra, ecc, ecc, ecc. Davvero troppo anche perché, in fondo, nessuna di queste facce di Cal è mai stata analizzata fino in fondo. Certo, una cosa che accumuna tutti questi momenti della sua vita c'è ed è il bisogno di adrenalina. Ma ho come l'impressione che questo non coinvolga lo spettatore più di tanto, o almeno non l'ha fatto con me.
La cosa migliore di "Lie to me" è il rapporto che Cal ha con la figlia: questo sì, scritto davvero bene.
Le cose migliore di "The mentalist" sono un protagonista, forse meno sfumato, ma con cui è è più facile empatizzare e qualcosa da scoprire: l'identità di "John il rosso", il serial killer che ha ucciso sua moglie e sua figlia.

4 commenti:

Marco ha detto...

"Ci sono due categorie di persone che pensano a come uccidere la gente: gli psicopatici e gli scrittori di gialli. La mia è quella che rende di più. Chi sono? Sono Rick Castle" Una citazione da "Castle, detective tra le righe". Secondo me potrebbe partecipare alla gara con gli altri due serial; come personaggio Richard è più simpatico di Cal e secondo me se la gioca con Patrick!

St. ha detto...

Sono d'accordo.
"Castle" ha i migliori dialoghi attualmente ascoltabili in TV: brillanti e scanzonati.
Anche i gialli sono molto ben fatti e poii due protagonisti sono fantastici. Ma "Castle" non è, al contrario di "The mentalist" e "Lie to me" una serie sulla menzogna; è per questo motivo che non l'ho inserita nella competizione. Se l'avessi fatto avrebbe stravinto ;-)

Marco ha detto...

Posso dare un consiglio per un post!
Si parla tanto di Luttazzi e dei plagi ai danni di comici americani, se è vero(come dice anche Recchioni nel suo blog)forse l'errore è stato di non farlo in maniera palese e dichiarata. Spesso anche gli sceneggiatori di fumetti attingono a piene mani da altri autori, non solo di fumetti. Fin dove è lecito spingersi? E quando e quanto si rischia l'effetto Luttazzi?

Ryo ha detto...

Concordo con tutto. Però di The Mentalist ho notato una cosa.
Gli attori secondari di turno, ma anche Lisbon e Van Pet, non sanno davvero recitare.
Inoltre alcuni casi, sono davvero poco credibili.