martedì 31 agosto 2010

Errori e orrori


















Mi è capitato più di una volta di vedere errori del genere. Di solito le beccavo nei soggetti che i lettori inviavano alla Bonelli e che mi capitava di leggere quando facevo il redattore. Ma l'altro giorno ho ritrovato lo stesso errore in una sceneggiatura per un Tv-Movie che dovrei supervisionare.
C'è un protagonista che indaga. Poi, però, scopre l'assassino solo per caso. Non ci arriva grazie alle sue abilità né alle sue l'intuizioni, ma solo grazie al buon vecchio culo.
Il protagonista:
a) Può incontrare l'assassino a un concerto, tra migliaia di persone e riconoscerlo grazie a un identikit fatto da un testimone (?).
b) Può bucare una gomma e sarà proprio l'assassino che - tra mille - lo andrà a prendere con il carro attrezzi, smascherandosi in qualche modo.
c) Può urtare casualmente l'assassino per strada, facendo cadere dalla tasca dell'uomo un oggetto che lo incriminerà.
Un giallo va costruito con attenzione. Passaggio dopo passaggio. E saranno i tasselli che il protagonista troverà durante l'indagine, insieme alle sue capacità logico/deduttive, che messi uno accanto all'altro gli permetteranno di scoprire l'identità del colpevole.
IL CASO IN UNA STORIA POLIZIESCA NON DOVREBBE ESISTERE.
Sembra banale, ma visto che i tre esempio che ho appena fatto li ho letti veramente, evidentemente non è così.

domenica 22 agosto 2010

Memorie dal passato



















L'idea è di Antonio Serra: Nathan Never sfoglia un album di fotografie e ogni foto diventa un pretesto per raccontare una delle storie brevi - 15 pagine - che formano l'albo.
Io ho scritto l'ultima di queste storie, intitolata: "Storia di un impermeabile".
L'albo è in edicola da un paio di giorni.
Spero che vi piaccia.

venerdì 20 agosto 2010

Il sangue è randagio

















IL SEGUENTE POST CONTIENE SPOILER: poi non dite che non ve lo avevo detto.

Il romanzo è uscito a febbraio, ma io ho resistito fino ad ora. Non solo perché volevo leggerlo tutto in un fiato, senza interruzioni, ma anche perché subito prima volevo rileggermi sia "American tabloid" che "Sei pezzi da mille" a cui questo libro è strettamente legato.
Un totale di circa 2000 pagine. Da divorare senza sosta.
E ieri ho portato a compimento l'impresa.
Non starò qui a parlare di "American tabloid". E', come ho detto più volte, il libro della mia vita: non il più bello che ho letto, ma quello per me più importante. Non parlerò nemmeno di "Sei pezzi da mille": mi concentrerò solo sull'ultima parte di quella che lo stesso James Ellroy ha definito "la trilogia del sottosuolo".
L'inizio, dopo la strepitosa rapina che apre il libro, è sinceramente un po' faticoso. Si ha la sensazione di trovarsi davanti a un Ellroy un po' di maniera, che gioca a rifare se stesso: il solito stile sincopato, trascrizioni di telefonate, dossier di tutti su tutti, tre protagonisti tre che si rincorrono, doppi e tripli giochi, violenza e sensi di colpa da soffocare con ogni tipo di droga, J.Edgar Hoover, la mafia, Howard Hughes, ecc, ecc, ecc. Poi, però, la narrazione inizia a carburare e vengono fuori i personaggi veri: due in particolare, Joan Rosen Kein, la "dea rossa" e Don Crutchfield, una specie di alter ego di Ellroy, nonché il narratore occulto dell'intera vicenda.
Don, come lo stesso Ellroy nella vita reale, avrà alla fine la sua redenzione. E che redenzione, visto che sarà proprio lui, in un finale ucronico, simile per certi versi a quello di "Inglorious basterds" di Tarantino, a uccidere J.H.Hoover, il supercattivo dell'intera trilogia.
Non mi vergogno di ammettere che quando Don compare nottetempo nella cucina del vecchio capo dell'FBI ormai settantasettenne, con uno smeraldo in mano (?) , mi sono commosso, come ormai mi accade di rado.
Intendiamoci, "Il sangue è randagio" non è "American tabloid" - come potrebbe? - ma è comunque meglio del 99% dei libri che escono in libreria ogni anno e conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che James Ellroy è insieme a Don De Lillo, Cormac McCarthy e Philip Roth, il più grande scrittore americano vivente.

giovedì 12 agosto 2010

Curiosità e snobismi















Sono una persona curiosa; molto curiosa. Fin da quando ero piccolo, se leggevo una parola di cui non conoscevo il significato prendevo il vocabolario e lo cercavo. Se sentivo il nome di un personaggio storico o anche semplicemente famoso, mi documentavo subito su di lui. Poi con Internet è diventato tutto ancora più facile.
Capita spesso che le persone che incontro mi chiedano che lavoro faccio.
- Lo sceneggiatore, - rispondo.
- E cosa sarebbe?
- Scrivo i film.
Silenzio.
- Le battute che dicono gli attori.
Silenzio.
- E poi invento la storia.
Silenzio.
- Tutta la trama. Tutto quello che succede in un film, lo scrivo io.
A quel punto l'interlocutore ha capito. Mi guarda tra il perplesso e l'ammirato, poi, annuendo, chiude la conversazione con un invariabile: - Allora hai molta fantasia.
Ma c'è anche un altro tipo di dialogo che inizia sempre con la stessa domanda:
- Che lavoro fai?
- Lo sceneggiatore.
A questo punto, l'interlocutore si rivolge a un parente/amico/figlio e, indicandomi, gli rivela, ammirato: - Fa lo scenografo!
Ha capito che faccio parte del mondo del cinema, ma fa un po' di confusione. Tocca a me cercare di riportarlo sulla retta via.
- No, lo sceneggiatore.
- Quello che fa le scene.
- No quello è lo scenografo. Io, invece, sono uno sceneggiatore. Scrivo le scene.
Silenzio.
- Scrivo i film.
Silenzio.
- Le battute che dicono gli attori.
Silenzio.
(...)
In seguito a esperienze analoghe, molti colleghi alla domanda: - Che lavoro fai? - rispondono semplicemente: - Lo scrittore.
Più chiaro, conciso.
Ma io sono testardo e continuo a rispondere che faccio lo sceneggiatore.
Ognuno di noi, nella sua vita, ha visto un numero imprecisato di film e, quindi, di titoli di testa. E io mi chiedo ancora, dopo tanti anni: possibile che la maggior parte della gente davanti alla scritta: "sceneggiatura di" non si sia mai chiesta che cosa diavolo significasse?

sabato 7 agosto 2010

Dario













E' sempre stato uno dei miei miti.
Suo il film che mi ha ossessionato e spaventato di più quand'ero bambino (Profondo rosso, visto nel 1976) suoi il primo film vietato ai minori di 14 anni che ho visto al cinema (1980: Inferno) e quello vietato ai minori di 18 anni (1982: Tenebre).
Se io, giovane appassionato di gialli e di horror, ho deciso che sarei diventato uno sceneggiatore - dopo avere escluso la possibilità di diventare un regista - lo devo soprattutto a lui e ai suoi film.
Perché vi racconto questo? Perché subito prima di partire per le vacanze, ho concluso la sceneggiatura di quello che, fatti i debiti scongiuri, dovrebbe essere il prossimo film di Dario Argento.
L'ho scritto insieme a Dario e ad Antonio Tentori ed è stata, per me, un'esperienza davvero indimenticabile.
Per rumors, notizie a approfondimenti sul film vi rimando al web. In questa sede volevo solo farvi partecipi della mia gioia e ringraziare Dario per l'opportunità e l'onore che mi ha concesso.

venerdì 6 agosto 2010

Consigli non richiesti a sceneggiatori cinematografici in erba/1



















I corsi e le scuole di scrittura sono utili per conoscere gli addetti ai lavori e creare dei contatti.
I manuali possono essere utili anche per imparare a scrivere una sceneggiatura.
Quelli americani che vale la pena di leggere sono, a mio modo di vedere, cinque e sono stati - tutti tranne uno - tradotti in Italiano.
Li elenco per coloro che fossero interessati all'argomento:
Syd Field: "La sceneggiatura" - Lupetti.
John Truby: "Anatomia di una storia" - Dino Audino editore
Robert McKee: "Story" - International Forum Edizioni.
LInda Seger: "Come scrivere una grande sceneggiatura" - Dino Audino Editore
Blake Snyder: "Save the cat!" - Michael Wiese Productions
Ognuno di questi cinque autori ha un'idea diversa e ben precisa su come si debba scrivere una sceneggiatura. Varrebbe la pena di leggerli tutti, per poi, a quel punto, fare di testa propria.
C'è anche un manuale derivativo, ma molto valido, che mette in campo tutti i punti di vista di cui sopra riunendoli, semplificati, in un unico volume. Lo ha scritto Luca Aimeri e si intitola: "Manuale di sceneggiatura cinematografica". E' edito da UTET.
I libri fin qui elencati spiegano come fare per strutturare una storia e creare dei conflitti e dei personaggi interessanti. Ma c'è un libro da cui non mi separo mai e che consiglio a chiunque voglia fare questo mestiere. E' in inglese, ma poco importa visto l'argomento. Si intitola "The Hollywood standard", è stato scritto da Christopher Riley ed edito da Michael Wiese Productions. Illustra come si scriva materialmente una sceneggiatura, cosa vada descritto e cosa no, come si debbano indicare i flashback e i suoni, una sequenza sogno piuttosto che una montage.